Nostra intervista al professor Paolo Savona, Ministro per gli Affari Europei, ospite nel nostro Liceo.
Venerdì 17 gennaio, noi pacinottiani, abbiamo avuto la possibilità e l’onore di ospitare nella nostra aula magna, gremita, il Ministro Paolo Savona. Sardo, studente cagliaritano, economista, è stato più volte protagonista nei governi del nostro Stato, e grande studioso dei meccanismi che regolano l’Unione Europea. Chi meglio di lui poteva rispondere alle nostre domande riguardo al ruolo della nostra Sardegna in Europa e al futuro di noi studenti sardi in questo periodo storico?
Ecco quello che ci ha risposto durante il dibattito, al temine della sua conferenza su: “Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”, seguita da una platea attenta e interessata.
In ‘’Europa’’ conoscono la Sardegna al di là del luogo fisico in cui è posta?
“In parte, e domando: la colpa è dell’Europa o dei Sardi? Abbiamo sottovalutato l’importanza della Sardegna in Europa e su questo ho sempre molto insistito”.
La millenaria storia della Sardegna ha qualcosa da offrire all’Europa di oggi?
“Certamente. I Sardi di prima, seconda, terza e quarta generazione nel mondo sono ben inseriti nelle vicende dei Continenti in cui vivono, alla pari di quelli che risiedono nell’Isola, circa un milione e seicentomila. Abbiamo molto da insegnare e questo avviene anche a livello Europeo. Un esempio può essere l’ambasciatore che ha a che fare con Mario Draghi alla BCE che è proprio un sardo, che ho avuto modo di conoscere e che mi ha aiutato a relazionarmi con l’entourage di Draghi. Questa domanda non ha che una risposta, ed è un si, perché noi quando andiamo fuori stringiamo i denti e riusciamo ad affermarci; ricordatevi che se voi vi preparate e conoscete verrete certamente presi in considerazione e non osiate pensare che l’unico modo di far carriera sia attraverso le relazioni giuste. Certo aiutano ma non basteranno mai, mentre se uno riesce a prepararsi certamente avrà molto da dire. Soprattutto quando parliamo dei problemi legati alla Sardegna quali l’insularità o la continuità territoriale, non dobbiamo andare in Europa pretendendo degli aiuti, ma dobbiamo anche mostrare cosa possiamo dare in cambio affinché anche le nostre aziende possano essere forti e competitive rispetto a quelle americane o cinesi”.
Cosa può chiedere la Sardegna all’Europa in termini di dignità, giustizia sociale e di rispetto del bene comune?
“Deve chiedere una buona organizzazione del bene comune. Non bisogna andare a dire: io sono sardo, sono svantaggiato e tu mi devi aiutare. Per ottenere qualcosa bisogna sollevare un principio generale, da cui discende poi il fatto sardo, perché altrimenti tutti vanno a portare qualche problema e a chiedere soluzioni, ma il vero punto è affrontare la politeia. Nel documento che io stesso ho scritto, la politeia si riferisce inevitabilmente anche alla Sardegna, che d’altronde è la mia terra e di cui sento il richiamo. Perciò quando incoraggio ad andare ad accumulare esperienze in altri Paesi, io vi dico anche di portarvi una mappa di tutti i sardi che si sono specializzati all’estero. Il giorno che avrete una specificità non esitate a chiamare con voi un altro sardo, come fece Cossiga quando richiese il mio aiuto per salvare il Credito Industriale Sardo. Una delle cose che mi colpì e che io ripetei più volte ai vari presidenti della Giunta Regionale, è che in Inghilterra c’era uno studioso molto preparato sulla teoria dello sviluppo che avrebbe potuto dare una grande mano d’aiuto alla Sardegna ed era diventato il direttore del Governo Inglese per lo sviluppo, e quest’uomo, messo a capo di uno degli organi più importanti per lo Stato inglese, era proprio un Sardo. Quindi pensando all’altissima preparazione dei nostri concittadini che, come abbiamo, visto possono raggiungere altissimi livelli di preparazione nel mondo, una mappatura delle loro conoscenze e dei loro ruoli sarebbe vitale per riportare le loro conoscenze e competenze qui in Sardegna”.
Quale ruolo lei vede per la Sardegna in Europa: uno snodo importante o una semplice regione periferica?
“Come iniziò lo sviluppo informatico io scrissi un articolo su Sardegna Industriale intitolato ‘’La Sardegna non è più un’Isola’’. Noi eravamo fra i più avanzati nel mondo nel campo dell’informatica, solo che per andare avanti in quel settore ci volevano grandissime risorse e piuttosto che cercare di svilupparsi in un punto piuttosto che in un altro, occorreva trovare un’alleanza internazionale. In questo caso perdere la leadership finanziaria ha significato qualcosa. In quel settore avevamo grandi iniziative, si provò a creare una sorta di Amazon sarda la ‘’Sardex’’ e abbiamo tanti esempi di questo tipo, ma ad un certo punto ci fu la sbronza degli investimenti nelle materie di base, che erano tutte industrie in fase di obsolescenza che al momento portarono anche qualche beneficio ma non furono certo azioni molto lungimiranti. Abbiamo un settore agroalimentare che fattura circa l’8% in termini reali; abbiamo un turismo che tira moltissimo, ma è anche vero che se andiamo a vedere le aree turistiche in Egitto ci vien voglia di chiudere tutto e andarcene a spasso per il Supramonte, quindi anche in questo campo c’è un grande intervento da fare. Parlando di alta velocità, a suo tempo ci fu anche un dibattito che si concluse con il proibire questo tipo di trasporto, e invece erano interventi che andavano fatti ed erano essenziali per collegare le varie parti dell’isola. Insomma abbiamo tanti lavori da fare, ma il vero dubbio è: chi è che li farà? Bisogna quindi tirare fuori una richiesta precisa e la Sardegna comincerà a muoversi nelle direzioni corrette, per ora ciò che io vedo è un’Isola che non ha nemmeno iniziato a sfruttare il proprio patrimonio. Io mi misi a disposizione e sono tornato a mettermi a disposizione, non sono iscritto a nessun partito e vi consiglio di non iscrivervi ad un partito ma di iscrivervi al partito della conoscenza che è l’unico che ha futuro”.
Ci potrebbe raccontare qualche suo ricordo da studente Cagliaritano?
“Uno l’ho scritto nelle mie memorie, quando ho capito che mi conveniva studiare invece che andare a lavorare nel cantiere navale di mio nonno a costruire barche, per quanto mi piacesse lavorare il legno. In quel periodo, a circa 15 anni, adoravo lo sport e nell’istituto Martini non c’erano le sedie ma banchi lunghi e io ero seduto al centro di questo banco. Mi ha chiamato l’insegnate di lettere per l’interrogazione; io che ero un atleta ho messo le mani sul banco e attraverso il salto mortale mi sono presentato all’interrogazione. La professoressa si era spaventata a morte e mi aveva spedito dal preside con tanto di sospensione per una settimana per questa mia esibizione. Mio padre dopo l’accaduto mi disse molto pacatamente che studiare non era obbligatorio visto che avevo l’opportunità di lavorare da mio nonno, e mi pose la scelta: ‘’o studi bene da questo momento in poi, oppure andrai al cantiere’’. Mi feci due calcoli, mi guardai un po’ intorno e pensai: se studio devo eccellere come nello sport. Vi dico: qualunque cosa voi facciate, puntate alto. Avendo superato molte difficoltà, non posso comunque dire di essere migliore di tutti i miei competitor, ma lo scambio competitivo con i miei colleghi, sia quando ero alle scuole superiori, sia all’università che in Banca d’Italia mi maturava, mi dava conoscenze, mi dava forza e quando sbagliavo mi dovevo reinventare. Il mio ricordo è esattamente questo, quando ho avuto la coscienza che la conoscenza fosse l’unico metodo per salire nella scala sociale. Su questo tutt’oggi insisto anche con voi perché dovete fare esperienze e dovete studiare, poi vedrete che rimane tempo nella vita per stare spensierati. Come dicevo in precedenza, è importante avere una gioventù impegnata e poi un futuro più rilassato. Anche per le esperienze che si fanno è importante non lasciarci prendere dall’eccitazione, esse vanno maturate e pensate e in questo modo daranno certamente più soddisfazione”.
di Francesco Ledda