Superstite racconta la sua tragica esperienza: “Due giorni senza cellulare né internet”
Tutti coloro che leggeranno questo articolo molto probabilmente appartengono alla nuova generazione che ha sempre conosciuto ed usato strumenti tecnologici come telefoni, computer o tablet. Persone che non hanno la più pallida idea di come si viva senza i social o le telefonate o google, ma una di loro, la sottoscritta, si è immolata per provare a vivere senza cellulare per due giorni.
Prima di questa esperienza non mi sono mai ritenuta dipendente dal telefono e social anzi non sono solita condividere la mia quotidianità su Instagram.
Non sono quel tipo di persona che sente il bisogno di fotografare o fare video ma anzi preferisco vivere il momento.
Uso il telefono soprattutto quando ho un momento libero per scrivere alle mie amiche, guardare Instagram o ascoltare musica.
Un bel giorno invece, contro tutte le possibili previsioni, mi cade il telefono che viene portato la sera stessa in riparazione per sistemare lo schermo rotto.
Ovviamente la vita doveva andare avanti anche senza cellulare, così inizia la mia esperienza senza tecnologia.
Il primo problema che ho riscontrato è stato quello degli orari dei pullman.
Usando l’app del CTM si può sapere in tempo reale a che ora passerà il pullman, mentre non sapendo di preciso a che ora passasse mi sono presentata alla fermata con dieci minuti di anticipo per paura di perderlo.
Altro grande dilemma che colpisce me e i miei coetanei è leggere l’orario nell’orologio da polso che molte volte si rivela essere un accessorio e nient’altro. Leggere l’ora è veramente difficile per chi come me è abituato a leggerlo sbloccando il cellulare.
Sono le tre meno dieci o le quattro meno dieci? La lancetta corta indica le ore, giusto? Queste sono le domande che mi sono fatta più spesso in questi due giorni.
Siamo schiavi, io in primis, della nostra rubrica telefonica perché dubito che qualcuno si ricordi qualche numero di telefono oltre al proprio. Io ne conosco due: il mio e quello di mia madre che ho imparato quando ero piccola. Non conoscendo i numeri di telefono, non sapevo come contattare mia sorella.
È assurdo che i numeri che abbiamo in rubrica siano di persone che non chiameremo mai in caso di emergenza, ma rimangono tra i contatti preferiti.
Altro elemento fondamentale nella vita dei ragazzi è la musica, che occupa almeno un quarto delle mie giornate. Mi porto le cuffiette ovunque e ascolto musica quando cammino, in pullman, mentre faccio i compiti, mentre cucino, mentre riordino, insomma sempre. La musica mi è mancata come l’aria, ma allo stesso tempo mi sono dovuta rapportare ai suoni della natura che prima erano ovattati dalle note musicali.
Il canto degli uccellini, il rumore del vento, le voci delle persone sull’autobus e il rumore delle gomme delle macchine nell’asfalto sono alcuni dei suoni che ci circondano. Mi sono accorta che la natura ha una sua musicalità e non è rumore, ma il suono dell’universo.
Questi due giorni mi hanno fatto sentire esclusa da un mondo racchiuso dentro lo smartphone, che per chi ne fa un uso quotidiano è invisibile, ma è palese a chi guarda la scena dall’esterno. In pullman ormai si vedono solo teste chine impegnate a trascinare il dito sullo schermo e nessuno che fa più un sorriso di circostanza. Tutti troppo concentrati ad intrattenere conversazioni con degli schermi che non hanno nulla di umano. Nessuno nota più chi sta aspettando il pullman con noi o le insegne delle pubblicità che cambiano.
Siamo la generazione che rifiuta le imperfezioni del mondo reale per rifugiarsi un altro ricoperto di una patina finta di perfezione.
Il mondo non è la fuori, ma attorno a noi e lo stiamo volutamente ignorando.
di Laura Muscas