Oggi intervistiamo Rebecca Argentero, studentessa di 21 anni iscritta alla Ca’ Foscari a Venezia (terzo anno). Il suo corso di laurea si chiama Philosophy, International studies and Economics, una triennale multidisciplinare il cui scopo è di darti una conoscenza a tutto tondo delle modalità con cui la realtà odierna funziona avendo a disposizione, come si può intendere dal nome, una base di conoscenza economica, politica e filosofica.
È stato difficile lasciare la Sardegna?
Si e no. Ero giá partita in quarta superiore per cui il distacco per il mio viaggio a Venezia è stato molto minore, anche perché a 18 anni ero arrivata ad un punto in cui avevo voglia di vedere posti nuovi e di sperimentare la vita da sola. Quindi la partenza è stata un misto di grande frenesia ed emozione, ma allo stesso tempo di nostalgia per un percorso che stavo chiudendo qui a casa.
Ci sono abitudini, idee o modi di fare che senti ti caratterizzino nel tuo essere sarda in questo nuovo contesto, fuori dall’isola? Quali sono?
Non credo alle generalizzazioni legate al rapporto con la propria terra. Credo che ognuno di noi abbia una personalità diversissima l’uno dall’altra già stando nello stesso gruppo di amici. Partendo ho incontrato tante persone con caratteri e modi di vivere diversi dai miei, sia più liberi che più chiusi. Io in particolare sento che l’appartenenza geografica conti e non conti per quanto riguarda la formazione del carattere.
Invece al contrario, c’è qualcosa che senti derivante dal tuo essere cresciuta in Sardegna, che senti un po’ come una limitazione?
Le limitazioni in Sardegna sono legate alla sua insularità e ai problemi legati ai trasporti aerei e marittimi. I costi sono esagerati perciò tornare a casa diventa una rarità. Io tornavo una volta ogni due mesi, ogni tanto anche tre. Questa è la vera e propria limitazione. Perché molte volte, in questo modo, ti perdi molti legami costruiti a casa. Nel primo anno mi sentivo un po’ in mezzo a due realtà: Venezia che ancora mi era troppo nuova e non familiare, e Cagliari in cui le persone che conosci vanno avanti senza di te. Perciò anche lì ho perso la familiarità del luogo, poi ho capito che questo fa parte del gioco, e che i rapporti si evolvono in qualcos’altro e che non si può fare nulla per cambiarne il corso. Altri limiti io non vedo.
Quali piacevoli ricordi porti con te del periodo liceale trascorso al Pacinotti?
Tutto il liceo. Io sono un po’ nostalgica come persona perciò ripenso spesso agli anni del liceo, alla persona che ero e a come sono cambiata in questi ultimi anni. Ricordo molte delle interrogazioni, delle ricreazioni e delle discussioni con mie compagni, le prime cotte, le autogestioni… Le lezioni poi sono la parte migliore. Potrei essere etichettata come una secchiona, ma per me era bellissimo ascoltare le lezioni di italiano e latino della mia professoressa. Ogni lezione era sempre uno spunto per una discussione tra noi compagni. Grazie a quelle lezioni ho mantenuto la passione per la lettura. Le lezioni di religione anche: dopo ogni lezione, partiva una discussione che a volte si protraeva per una settimana intera.
Ci sono invece degli elementi (del Pacinotti o del liceo in generale) che non ti mancano per niente?
Mmmmm…no. Ma forse il ricordo ha addolcito molto l’esperienza che ho vissuto, ma penso che anche le cose negative servano nella vita. Perciò anche l’amarezza di un brutto voto, o il litigio con un compagno, o le discussioni con i docenti (sempre nel rispetto reciproco) servono a maturare. Se non ci fossero queste sarebbe tutto troppo facile e noi non impareremmo nulla. La scuola anzi non è niente in confronto alla vita vera. È un cuscinetto che attutisce l’ingresso alla vita vera, il cui intento è quello di fornirti gli strumenti necessari per affrontarla.
Dal punto di vista dello studio quali ti sono sembrati i punti di forza e quelli di debolezza del nostro Liceo?
Negli anni in cui ero al liceo la pecca era nella parte scientifica. Il che è un paradosso. Avevamo una preparazione molto più ferrea in italiano, latino e filosofia di quanto ce l’avessimo in scienze e fisica. Matematica un po’ diverso come discorso, in quanto ci si dedicava abbastanza. Però io ricordo che molto tempo per lo studio era dedicato a latino e italiano. Scienze non è mai stata una mia priorità, ma questo forse è anche dovuto ai miei interessi personali.
Quando hai deciso di iscriverti al Pacinotti avevi un “Piano B”? Pensi che sarebbe cambiato qualcosa nel tuo presente attuale se avessi scelto di intraprendere un’altra strada?
Io non avevo un altro piano. Brutto da dire ma ho seguito le mie amiche. A 13 anni non avevo la consapevolezza necessaria per decidere per conto mio. Però sono caduta bene, anzi benissimo. Tornando indietro non sceglierei scuola diversa da questa. Penso che se la mia scelta fosse caduta su un’altra scuola allora si, sarebbe cambiato qualcosa del mio attuale presente. Per questo motivo dico che non tornerei indietro nella scelta della scuola.
In che modo sei arrivata a prepararti ai test universitari?
La mia facoltà è un po’ particolare. I test d’ingresso vertevano per la maggior parte su domande di cultura generale (storia, geografia, letteratura e politica) perciò la preparazione in quell’ambito non te la puoi fare in un mese. Deve essere una conoscenza acquisita nel tempo. Per l’altra parte ci doveva già essere una conoscenza approfondita della lingua inglese, in quanto è la lingua di studio di tutto il corso di laurea. Una piccola parte era dedicata alla logica (in cui io sono una frana). Quindi per il mio corso di laurea non c’è una preparazione come il per test di medicina o di architettura. Il modo migliore è leggere i giornali, stare attenti a quelli che ci capita attorno ed esserne appassionati.
di Miriam Maninchedda