Dopo il primo articolo “Love on the brain”, concludiamo l’indagine sull’Amore con questo secondo intervento di Andreea Doloc.
A l’alta fantasia qui mancò possa;
Ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
Sì come rota ch’igualmente è mossa
L’amor che move il sole e l’altre stelle.
Così volge alla conclusione il trentatreesimo canto del Paradiso, nonché ultimo canto della Commedia. Tutto culmina nell’amore, rappresentato dalla forma più assoluta e grandiosa concepibile da Dante; identificandolo egli con il divino gli conferisce un’autorità suprema, lo rende conditio sine qua non, principio ed epilogo dell’intera esistenza. È l’amore il direttore d’orchestra dell’intero universo, nell’amore è riposta l’essenza della vita che si manifesta nelle sue molteplici forme. La stessa etimologia della parola amore, dal latino a mors, senza morte, si riconduce all’eternità, ossia tutto ciò che trascende passato, presente e futuro; esso supera infatti la tripartizione temporale per affermarsi come fondamento primo.
Forse non v’è nella storia dell’uomo argomento più rappresentato di questo.
Quale significato possiamo dare a una cosa talmente sconfinata da diventare irriducibile alla finitezza di una definizione ?
Per avere un’idea più chiara possiamo immaginare l’amore come un fascio di luce bianca, indivisa; facciamo dunque passare questa luce attraverso un prisma, esattamente come aveva fatto sir Isaac Newton, e osserviamo come essa viene scomposta nei colori dell’arcobaleno. Al rosso potremmo attribuire la libido freudiana, l’amore istintivo, primitivo, la passione accesa; all’estremità opposta, in corrispondenza del violetto troveremmo l’agape, l’amore disinteressato e smisurato. Le tonalità intermedie sono i diversi modi di concepire ed esprimere tale sentimento.
Ma in quale altro modo si potrebbe definire una cosa così eterea e trascendente?
Per meglio delineare i contorni di quest’intricatissima tematica è opportuno attribuire un significato al concetto di fede: essa è un atto assoluto e illimitato, cieco; come l’amore non passa attraverso la ragione poiché questa ha fine dove inizia l’altra. Se ci soffermiamo a riflettere la vita stessa è un continuo atto di fede, è un camminare senza avere alcuna garanzia che la terra non cederà sotto ai nostri piedi; tuttavia non possiamo che andare avanti, e lo facciamo animati anche da un altro sentimento: la speranza riposta nelle fede, che si traduce in fiducia. Nell’istante in cui intraprendiamo una qualunque strada lo facciamo guidati da una fede cieca e da una fiducia che può solo perché virtualmente illimitata. Accade lo stesso quando parliamo d’amore. Non c’è atto di fede più nobile e unico di quello che si realizza nel momento in cui amiamo, perché non c’è forza più grande di quella che si dimostra nell’esporre tutte le proprie debolezze. A nessuno piace mostrare per intero le proprie fratture, amare è lanciarsi in una caduta libera e assolutamente incerta.
L’amore di per sé è un atto di fede, ma amare comporta anche un atto di fiducia, perché nell’abbandono completo a una persona è rinchiusa la speranza che questa non ci arrechi alcun male. Ci si innamora cautamente o tutto d’insieme, ma in tutti i casi si arriva alla dissoluzione delle difese innalzate per proteggere un cuore reso vulnerabile. E dietro alla costruzione di queste difese si cela il tentativo di razionalizzare un qualcosa che va ben oltre la ragione, la ricerca di prove che dimostrino la possibilità di convertire l’amore in semplice misurazione sperimentale.
Nel film “A beautiful mind” si assiste a un dialogo fra il protagonista John Nash e la sua futura moglie Alicia, in cui appare ben chiara la natura duale dell’uomo, sempre in bilico fra la ragione e il sentimento: alla richiesta di lui di una prova verificabile del loro amore, lei ribadisce che persino i dati sull’infinità dell’universo non sono stati dimostrati, eppure vi si crede alla cieca; è la stessa cosa con l’amore.
Tuttavia, spogliato di ogni elemento razionale esso diventa pura follia, chaon ab ordine. La dualità umana fa della ragione la controparte della spiritualità, ed è proprio la ragione che impone al mondo un modello fatto di classificazioni e definizioni, al fine di conferirgli una struttura ordinata. La stessa parola ratio esprime la ricerca di un criterio e di un rapporto logico come fattori di coesione di una realtà altrimenti dispersiva. È questa ricerca che porta al tentativo di spiegare tutto mediante la pretesa di validazione del concreto attraverso un procedimento che, facendo uso di dimostrazioni, arrivi a fornire dati empirici verificabili. Forse in questo tentativo si cela il timore dell’ignoto inspiegabile, l’uomo ama crogiolarsi nelle sue certezze facendo un uso talvolta quasi abusivo della ragione e pretende di estenderne illimitatamente il raggio d’azione; tuttavia il filosofo Rabindranath Tagore diceva che una mente tutta logica è come un coltello tutto lama: taglia la mano di chi lo usa. Forse nella nostra applicazione della ragione alla sfera emotiva non ci siamo resi conto che nella sua semplicità l’amore non richiede alcuna formula per essere spiegato, non ha bisogno di essere verificato sperimentalmente, così come non possiamo dimostrare gli assiomi, ma possiamo conferire loro potere semplicemente credendoci. L’amore è infinito, atemporale, e assieme alla matematica fonda l’universo, a riprova che all’origine di tutto esiste una dualità di elementi opposti che tuttavia non sconfinano l’uno nel campo dell’altro. Perché è impossibile matematizzare il sentimento o “sentimentalizzare” la matematica, e tuttavia entrambi sono pilastri portanti della nostra esistenza.
Quando andiamo oltre le reazioni chimiche del nostro cervello, oltre la corporeità, e dunque oltre tutto il razionale, ciò che rimane non può essere inteso se non con l’anima, attraverso il cuore. Ciò non significa rifiutare completamente la ragione, perché sarebbe come privare un edificio della sua ossatura, ma lasciare che la vita si manifesti anche nel mistero delle cose che non trovano una spiegazione logica. Hegel affermava che la realtà segue una trama razionale; Schopenhauer, ricalcando la sua celebre massima “Tutto il reale è razionale, il razionale è reale”, sosteneva che “Tutto il reale è irrazionale, tutto l’irrazionale è reale”, a ribadire che la ragione non è incondizionata e le cose che inevitabilmente sfuggono alla sua presa trovano espressione nel reale. Aristotele diceva che la virtù sta nel mezzo, e in fondo la vita è una continua ricerca di equilibrio; l’interezza del nostro essere non è che unità di opposti e sta a noi trovare la “giusta misura”. L’amore ci rende ciechi, la ragione ci ridà la vista; laddove finisce l’una comincia l’esistenza dell’altro. All’interno degli schemi dell’amore la ragione appare assurdità; nel dogma razionale l’amore diventa pazzia. Ma è in questa follia che troviamo la nostra sanità.
di Andreea Doloc