Viviamo nell’epoca del liberalismo, del mercato libero. Gli anni della pubblicità, delle multinazionali ultramiliardarie e dei loro grandissimi simboli: tutti conoscono McDonald’s, la Coca Cola e gli iPhone, che ne sono solo alcuni esempi.
Questi sono i tempi della globalizzazione. Il termine, iniziato ad adoperare a partire dagli anni ’90, indica un insieme vastissimo di fenomeni accomunati dall’integrazione e degli scambi di tipo economico, con ricadute anche sul sociale e sulla cultura.
Infatti, quello che è nato come un fenomeno di unificazione dei mercati, finalizzato ad ampliare la propria clientela su scala sempre più ampia, sta avendo anche serie ripercussioni sul nostro modo di vivere e di pensare.
La globalizzazione ha portato sicuramente tanti benefici e agevolazioni nella nostra vita: ma la stessa cosa vale anche nel resto del mondo? I fatti suggeriscono una risposta negativa. Di questo sistema beneficia soprattutto il mondo occidentale, inteso come America del Nord, Europa le grandi isole dell’Oceania, perciò con popolazioni direttamente collegate a storia e mentalità di matrice europea.
Una delle problematiche più preoccupanti che ne derivano è la “globalizzazione culturale”. La “americanizzazione” (altro nome con cui viene identificato il fenomeno) è l’unificazione a livello mondiale dei comportamenti, degli stili di vita e del pensiero delle persone, spesso tramite l’adeguamento di esse agli standard e alle abitudini di vita occidentali.
L’americanizzazione si manifesta in tantissimi modi. Tramite la creazione della cosiddetta “World Music”, un genere musicale globale comune (in lingua inglese),ad esempio, come attraverso l’omologazione dei consumi. Ci è infatti molto facile trovare in un supermercato dall’altra parte del mondo dei prodotti dello stesso marchio, facilmente reperibile anche nella nostra città.
Questo fenomeno ha anche avuto effetti positivi. Pensiamo infatti a come l’influenza occidentale abbia contribuito e tutt’ora contribuisca all’ottenimento di democrazia e diritti civili, da noi considerati inviolabili da decenni, scuotendo le coscienze e le piazze di tutto il mondo.
Ciò che lo rende particolarmente grave è che intere popolazioni stiano dimenticando o rifiutando la loro cultura per omologarsi ad uno stile di vita che soprattutto noi Europei e gli Stati Uniti predichiamo e che noi portiamo all’estero, grazie anche ai mass media, ovviamente di stampo occidentale.
Il rischio a cui si sta andando incontro, secondo l’opinione di molti studiosi, è che col tempo si arrivi ad un appiattimento delle culture minori, ossia quelle diverse dalla cultura occidentale. Per quanto possa sembrare un’esagerazione, tutt’ora noi assistiamo a questo processo, avendone anche nominato prima alcuni dei primi effetti. Vogliamo ricordare come ormai tutta la popolazione mondiale abbia abbandonato i propri abiti tipici per la vita di tutti i giorni, favorendo l’abbigliamento all’”occidentale”?
La globalizzazione culturale potrebbe essere un ottimo mezzo per arrivare ad ottenere finalmente una situazione di dialogo reciproco, accordo e pace tra diversi Paesi, ma senza che ogni individuo perda non solo la propria cultura, ma la propria identità.
Un mondo così è possibile, se si conoscono e non si sottovalutano i rischi a cui si può incorrere nel processo.
di Clarissa D’Andrea