Felicità. Un concetto così astratto, personale, difficile da inquadrare. Tutti la desideriamo e per questo la cerchiamo, costantemente, in ogni dove: in una relazione, in un viaggio o ancora in quel vestito che sogniamo da tanto.
Tendiamo a trovare la causa della sua assenza nella mancanza di quelle cose che vorremmo tanto possedere e che non ci possiamo permettere. Allora per risolvere il problema ci impegniamo, mettiamo da parte i soldi e finalmente arriva il giorno in cui compriamo l’oggetto tanto bramato.
È piacevole, ci sentiamo bene. Eppure, dopo poco tempo, la sensazione provata inizialmente che assomiglia così tanto alla felicità inizia a sfumare. Ma noi ne
vogliamo ancora. E allora ecco che perlustriamo ovunque nella speranza di ritrovarla, in un altro oggetto o magari in un’altra esperienza che ci sembra fondamentale per essere sorridenti come i modelli nella foto che la pubblicizza, entrando così in un circolo vizioso da cui è difficile uscire.
Ovviamente parlare di un argomento così complesso non è semplice.
La carenza di soldi è sicuramente una variabile non trascurabile, in quanto provoca ad esempio la morte di tantissimi malati ogni giorno che non possono permettersi le cure mediche, di affamati, di senzatetto; impedisce che tutti i bambini possano ricevere un’istruzione adeguata e la qualità di infanzia che si meritano. Gli effetti della povertà non sono assolutamente da sminuire, poiché i soldi possono fare tanto, possono fare del bene, perciò si deve riconoscere la loro importanza per quanto riguarda la serenità delle persone e la loro possibilità di costruirsi una vita felice.
Il benessere economico assicura molti meno problemi materiali a chi può goderne.
Riflettendo possiamo però anche capire che la presenza dei soldi non garantisce necessariamente la tranquillità interiore; questo concetto è provato ad esempio dai tanti casi di suicidi nel mondo dello spettacolo: a volte proprio le persone da noi invidiate perché “hanno tutto” e perché apparentemente vivono la “vita dei nostri sogni”, sentono il profondo bisogno di porre fine ad essa stessa, nonostante l’agiatezza a cui sono abituati.
Un altro indizio è fornito dal World Happiness Report dell’ONU, che ci mostra quali Paesi sono i più felici al mondo, basandosi su reddito pro capite, speranza di vita, libertà e generosità.
Esaminando i risultati, si nota che la Finlandia è al primo posto, fatto che in apparenza non sbalordisce grazie all’avanzamento tecnologico e alle condizioni economiche tranquille di cui può vantarsi. Quello che sorprende in realtà è trovarla in una posizione ugualmente elevata (32°) in un’altra classifica, quella che indica il tasso di suicidi in scala mondiale, davanti a un paese come l’Italia che invece risulta al 124°, mentre è situata al 47° posto nel report mondiale sulla felicità. Stupisce anche scoprire che in quest’ultima graduatoria, gli Stati Uniti, benché più ricchi della prima in classifica, siano al 18° posto, o ancora la Cina, forte economicamente, ma con una libertà di espressione gravemente limitata, sia all’86°. Non possediamo la ricetta per la felicità, eppure una cosa sembra palese: è futile misurarla con un metro che indica la ricchezza.
Insomma, riassumendo comprendiamo che non si può ridurre il tutto alla frase “i soldi non fanno la felicità”, ma sicuramente il modo in cui affrontiamo la vita di tutti i giorni, col sorriso o meno, non dipende esclusivamente e necessariamente dal nostro conto in banca.
di Valentina Pisu