Autonomia o indipendenza per la nostra Sardegna?

A questa domanda, da secoli, i nostri antenati hanno dato la loro risposta, non sempre unitaria e lineare. Ancora oggi il dibattito, la riflessione e l’approfondimento su questi temi, così attuali per la nostra Isola, sono tutt’altro che conclusi.

Anche noi di NOVUS vogliamo offrire il nostro contributo a questa discussione, dando la parola a due insegnanti della nostra scuola, entrambi docenti di Filosofia e Storia: la professoressa Rita Saiu e il professor Stefano Soi.


Meglio autonomia o indipendenza? Perché?

Professoressa Saiu:

“Penso che l’autonomia sia una soluzione che preservi l’identità e nel contempo apra al dialogo con identità diverse; occorre garantire il rispetto della specificità, ma in un’ottica nazionale, europea, mediterranea, cosmopolitica. La necessaria consapevolezza della propria identità non può esprimersi in una definizione autoreferenziale e immutabile (A=A), né può coincidere con l’esaltazione acritica dell’esistente. Remo Bodei propone un tipo di identità, “simile ad una corda da intrecciare: più fili ci sono, più l’identità individuale e collettiva si esalta”. Bisogna superare il paradosso odierno ‘che quanto più il mondo tende ad allargarsi e ad integrarsi, tanto più sembra che a queste aperture si reagisca con chiusure dettate dalla paura e dall’egoismo, con la rinascita di piccole patrie’”.

Professor Soi:

“Sicuramente come orizzonte politico, in maniera totalmente pacifica e all’interno del quadro giuridico esistente, sarebbe meglio attivare dei percorsi e processi, come ci sono già d’altronde, che puntino all’indipendenza. I limiti dell’autonomia li abbiamo sotto gli occhi. Eleonora d’Arborea dopo soli 16 anni, lo dice nella prefazione della Carta de Logu, si era sentita in dovere di convocare i maggiori giuristi dell’epoca per redigere una Carta Costituzionale di 192 capitoli. Lo fece “pro su beni dessa Repubblica sardisca” e “cun sa virtude dess’amori”. Per il bene dei sardi e per amore dei sardi. Oggi dopo più di sessant’anni non si riesce neanche ad aggiornare un articoletto di una carta dell’autonomia e si è convinti che di tanto in tanto qualcun altro venga a spiegarci come fare. La cultura indipendentista gandhiana, oggi ormai diffusa nell’isola, è stimolante così come lo è o dovrebbe esserlo la vera cultura. Nel momento in cui si immagina qualcosa di nuovo, nella costruzione di una nuova realtà politica, si mettono in gioco tutte le energie umane ed intellettuali, tutte le capacità di ricerca e di innovazione che sono l’anima di un popolo. Nel processo creativo vengono nutriti quei desideri di accogliere nella nostra terra le cose migliori del mondo.

La storia cambia, nella vita materiale niente è eterno e rimane uguale a se stesso, io continuo ad essere dell’avviso che si deve sempre aver in mente e lavorare per un piano B, ci si deve sempre far trovare pronti quando le occasioni per migliorare la tua vita si presentano. Questo dovrebbe essere un imperativo per i governanti della nostra terra”.

Quali sono le radici sociali, culturali e religiose del popolo Sardo?

Professoressa Saiu:

“Dalla preistoria all’età medievale, dall’età moderna della Sardegna spagnola e sabauda ai nostri giorni, sono radici eterogenee legate anche alle diverse dominazioni succedutesi nell’isola, che hanno portato “rinascenza” da un lato, ma anche problemi, proteste e rivolte contro l’asservimento, contro il metodo negativo “sabaudo” e l’incomprensione culturale legata alla considerazione del Sud come popolato di “barbari irredimibili”, gente da colonizzare”.

Professor Soi:

“Noi, come tutti gli uomini, siamo quello che ci raccontiamo ma è importante ricordare che ci raccontiamo anche in funzione di quello che vorremmo essere. Non possiamo ammirare un antico popolo di navigatori senza chiederci come mai, ora, il mare ci faccia apparire l’Isola come una prigione. Non possiamo raccontarci la storia di un popolo libero che si confrontava con tutto il Mediterraneo e non chiederci come mai, oggi, ci siamo ridotti a guardare il mondo da una fessura che dà solo su Roma. Esisteranno sempre i detrattori e coloro che renderanno le storie torbide e finalizzate a giustificare l’esistente. Dipende sempre dall’ orizzonte in cui ci vorremo muovere. Le nostre radici, in altre parole, parafrasando Franciscu Sedda, sono quelle che vorremo darci, sono quello che noi vorremo essere, sono davanti a noi”

In che modo il popolo Sardo potrebbe vivere la propria indipendenza/autonomia?

Profesoressa Saiu:

“Con la valorizzazione delle proprie radici, ma anche con la consapevolezza della necessità di appartenenze più ampie di quelle locali: come dice Umberto Eco ciascuno si identifica con la cultura in cui è cresciuto, senza che questo implichi giudicare “inferiori” le altre, ma le radici sono più ampie di quelle regionali o nazionali. Oggi la circolazione delle persone comporta una circolazione di modelli e valori che favoriscono la creazione di riferimenti comuni. Stefano Rodotà parla di “turismo dei diritti”, cioè il patrimonio dei diritti si amplia rispetto a quello messo a disposizione dal proprio paese: ‘così la cittadinanza si dilata. Si diventa cittadini del mondo grazie ad un accesso ai diritti che scavalca le frontiere’”.

Professor Soi:

“Vivrebbe la propria indipendenza come la vivono Malta, San Marino, tutte quelle micro-regioni del mondo che hanno saputo valorizzare se stessi, il proprio patrimonio culturale, la propria terra e hanno saputo, nello stesso tempo, integrarsi nel mondo. Il numero non è mai stato un problema nella costruzione di nuove realtà politiche, conta invece, come in tutte le cose, la qualità delle persone. Ed in Sardegna ne abbiamo tanta. Duecentomila persone, se non sono in grado e non si sentono capaci, possono fare danni enormi, mentre bastano anche solo 3 persone di qualità per fare cose molto belle. Né ovviamente conta l’estensione, l’Olanda è appena più grande della Sardegna, deve fare i conti con freddi polari per duecento giorni l’anno, ma soffre il freddo meno di noi e offre sicurezza a circa diciotto milioni di persone”.

Quali sono i punti deboli e i punti di forza della nostra Isola?

Professoressa Saiu:

“Un elemento di debolezza è la scarsa conoscenza della geografia, della storia e della cultura dell’isola. Quanto alla lingua, la sua valorizzazione non dovrebbe avvenire attraverso l’imposizione di una lingua sarda comune, ma con la pratica delle varianti che favorisca gli interscambi. Vorrei concludere richiamando la costante interazione tra la dimensione globale e locale della vita contemporanea da cui il neologismo “glocale” che Giacomo Marramao collega all’identità personale: ciascuno di noi è un ‘Sé multiplo”, ‘una cavea in cui riecheggiano le voci delle esperienze, degli incontri, delle diverse tradizioni che hanno costituito quel soggetto, che interpreta e conosce sé stesso confrontandosi con una pluralità di ragioni’”.

Professor Soi:

“Dobbiamo vedere il punto debole in prospettiva. Immaginando una realtà molto ricca dovremmo fare i conti con la sovrappopolazione e con i limiti delle risorse di un isola. Così come fa Malta. I nostri punti di forza sono invece un consumo interno, oggi inesistente, che rifiorirebbe all’istante e una grande agilità con cui rispondere alle crisi economiche del mondo. L’Irlanda, il cui processo di indipendenza le ha permesso di tirar su la più grande compagnia d’ aerei europea mentre noi a malapena riusciamo a salire su navi o aerei che non sono neanche nostri, è riuscita a venir fuori dall’ultima crisi del 2008 perché ha una grandissima agilità rispetto a grandi Stati che sono un po’ come “petroliere in un lago”. Non contano né l’estensione né il numero, è importante invece la capacità di comprendere la complessità del mondo, il coraggio ed il cuore. La nostra terra è ricchissima e piena di potenzialità, non è una terra povera né di beni materiali né immateriali. È tutto, in altre parole, in mano a noi Sardi”.

di Michele Dessena e Francesco Ledda

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