Nazione Sarda, un sogno possibile o un residuo del passato?

Nazione: l’insieme di persone che condividono lingua, storia e cultura e che hanno coscienza di tale unione, indipendentemente dalla sua realizzazione in unità politica. Questa parola viene pronunciata spesso dai noi sardi, c’è chi si sente parte di una nazione, c’è chi non la sente poi così tanto, c’è chi vuole vedere riconosciuta la nostra identità nella costituzione italiana, c’è chi ha paura che questo porti ad un eccessivo allontanamento dalla penisola e c’è chi invece vuole proprio abbandonare il governo di Roma.

Non scordiamoci, però, che per trarre le nostre considerazioni si deve guardare, oltre che all’unicità dei nostri costumi e della nostra lingua, anche alla rilevanza di qualche numero alla mano con tutta la questione legata a produzione, reddito, imposte pagate allo Stato e trasferimenti di denaro dallo Stato alla Sardegna. A quanto ammontano davvero queste cifre? E poi c’è la questione dell’insularità non solo rispetto alla penisola italiana ma a tutto il Continente europeo. L’Unione Europea tratta o no la Sardegna secondo giustizia? Le questioni principali, però, non sono solo quelle politiche o economiche. C’è, in primo luogo, tutta la radice culturale da comprendere, valutare e rendere parte concreta di un processo di conoscenza della nostra storia che non può essere ridotta a slogan o a fatti del passato senza collegamento con il presente.

Da questo punto di vista, uno degli interrogativi che i sardi hanno analizzato e continuano ad esaminare riguarda la possibilità di essere considerati Nazione. Ma farci chiamare Nazione può cambiare effettivamente questa situazione e migliorare le condizioni della nostra Isola?

Per chiarirci le idee noi di Novus abbiamo intervistato Paolo Maninchedda, sassarese, docente universitario, sposato, con due figlie nostre compagne, e da sempre impegnato sul fronte della valorizzazione dei sardi e della Sardegna.

Qual è la differenza tra autonomia e indipendenza?

La differenza tra autonomia e indipendenza è che l’autonomia gestisce unicamente i poteri delegati dallo Stato, mentre uno Stato indipendente ha piena libertà. Vi faccio alcuni esempi: la Sardegna ospita il 60% di tutte le servitù militari dell’Italia e, come ha dimostrato una commissione parlamentare, i territori in cui si sono svolte le attività militari sono state gravemente inquinate. La Regione ha il potere di chiudere i poligoni? No! Oppure; vi ricordate la visita del presidente cinese XI Jinping? Ecco, quando si è visto che l’aereo cominciava a scendere 7 minuti dopo la verticale di Roma, il mondo si è reso conto dell’esistenza di Cagliari e che addirittura il suo aeroporto può essere sede di scali internazionali e diventare un ‘’Hub’, cioè un ‘nodo’ del traffico aereo. La Regione può decidere di farlo? No! Perché il governo italiano lo impedisce, giacché ha deciso che gli unici hub siano Roma e Milano.

Perché il popolo sardo ha bisogno di essere riconosciuto come nazione? e’ in grado di raggiungere una propria sovranita’?

Ne ha assolutamente bisogno perché necessita dei poteri utili a tutelare i propri interessi e a promuovere i propri diritti. Perché il nostro diritto di muoverci deve essere limitato da questa o quella azienda di trasporti? Perché l’Unione Europea sostiene che il nostro diritto alla mobilità non sia tale ma invece un servizio regolato dal gioco della domanda e dell’offerta? I diritti vengono sostenuti dalle tasse di tutti, i servizi, invece, sono prodotti del mercato i cui costi non sono sempre e necessariamente sostenibili da tutti. Il diritto alla mobilità per una persona che vive in un’isola è connesso col diritto alla libertà di movimento, non può essere limitato dalle logiche del mercato dei trasporti. Possiamo noi oggi difendere questa impostazione in Europa? NO, perché in Europa contano gli Stati, noi sardi non siamo uno Stato e l’Italia non ha alcuna intenzione di vedere la Sardegna trasformarsi in uno Stato. La seconda parte della domanda chiede: ma siamo in grado? Siamo in grado nella misura in cui siamo consapevoli che è essenziale per la nostra libertà. Sicuramente ci vorrà del tempo e penso che sia necessario un pacifico percorso educativo, politico e culturale ispirato ai metodi ghandiani. Come un uomo non può dire di essere adulto fino quando non avrà sperimentato la vita, lo stesso vale per un popolo che deve essere in grado di prendere le proprie responsabilità nella storia per realizzarsi appieno, accettando i rischi della libertà.

Quali sono i punti di forza della nostra isola?

In Europa, come regione, siamo i maggiori produttori di latte ovino. Che ne facciamo di questa grande risorsa alimentare in un periodo nel quale la popolazione mondiale cresce e cerca cibo di qualità come il nostro? Chi sa che le erbe sarde hanno dei principi attivi più intensi di quelle delle specie affini presenti nelle altre parti del mondo? Cosa potrebbe fare la Sardegna se avesse un fisco adeguato ai bisogni di un milione e seicentomila abitanti e a quelli dei nostri artigiani e non calibrato sulle caratteristiche delle regioni del Nord che hanno un reddito pro capite triplo rispetto al nostro? Quando l’Irlanda adottò un sistema fiscale adatto alle caratteristiche del suo mercato e della sua società, guarda caso, colossi come Google, Apple e Facebook hanno deciso di andare lì.

L’indipendentismo è un sentimento così diffuso da portare le persone a manifestare in piazza?

Non penso che si debba fare proselitismo sull’indipendentismo ma semplicemente cercare di convincere la gente ad assumersi la responsabilità della storia e a non farsi guidare dagli altri. Penso che sia fondamentale porsi la domanda su chi decida effettivamente per noi. Si può essere poi indipendentisti, federalisti, confederalisti, post-autonomisti, però decidiamo noi.

di Michele Dessena e Francesco Ledda

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