Viviamo in un mondo ultra-connesso, nel quale noi stessi siamo sempre connessi.
Interroghiamo Google come se fosse un oracolo, possiamo chiedergli di risolvere un esercizio di fisica, come si traduce un costrutto latino o la ricetta per fare la pasta al forno della nonna e lui saprà sempre darci la risposta giusta.
Ma se ti dicessero che ciò che trovi sul web è meno del 2% di ciò che c’è in rete?
Questa mole infinita di petabyte (1 biliardo di byte = 1000 terabyte, ndr) può sul serio essere una cifra così irrisoria nell’ecosistema di Internet?
Incredibile, vero?
Internet, per come lo conosciamo, vede la luce nel 1991 al CERN di Ginevra, sulle base di progetti paramilitari come ARPANET, grazie al ricercatore Tim Berners-Lee che definisce il protocollo HTTP (Hyper Text TranferProtocol, ndr).
Nel giro di neanche 10 anni il World Wide Web si diffonde a macchia d’olio, raggiungendo ogni angolo del mondo e questo permette una crescita esponenziale della rete. Tanto che nel ’98 si è sentita l’esigenza di uno strumento per cercare tra tutti questi indirizzi web e così il 4 settembre 1998 viene creata Google.
Google, il colosso che tutti oggi conosciamo, capace con i suoi sconfinati mezzi di produrre sofisticatissime intelligenze artificiali, robot umanoidi e computer quantistici, non riesce a indicizzare più di quel 2% di contenuti che abbiamo citato prima.
E tutto il resto che fine fa?
Tutto il resto è Deep Web.
Il Deep Web è tutto ciò che non viene “catalogato” dai motori di ricerca e raggiunto dai normali browser Internet poiché mancano i mezzi pratici per farlo, dato che questi siti sono privi di collegamenti con siti esterni e quindi fuori dalla ramificazione di internet.
Che si utilizzi Google o Bing, Chrome, Mozilla o Internet Explorer il risultato non cambia, queste pagine risulteranno inaccessibili.
E tutto questo è voluto, non stiamo parlando di siti qualunque, hostati (ospitare contenuti che vengono condivisi in rete, ndr) sui server di Aruba o su quelli di Amazon, ma di un mare di siti che trovano vantaggio a rimanere “nascosti” nelle profondità della rete.
Lì sono privi di controlli, privi di regole e privi di limitazioni. L’unica limitazione è la tua bravura nel realizzare ciò che vuoi fare.
Neanche a dirlo nei meandri di questo mondo possiamo trovare di tutto, dai siti dove noleggiare hacker-sicari a veri e propri marketplace di contrabbando di armi, droghe e di account di Spotify illimitati, ma anche forum e siti governativi, fino ad approdare alle nuove frontiere con social network e siti web-news con testate giornalistiche e blog che aprono la loro pagina sul deep web.
Se i proprietari dei siti traggono tantissimi vantaggi ad avere questi siti, l’utente cosa ci guadagna?
Allo stesso modo dei proprietari anche gli utenti godono di alcuni vantaggi, primo fra tutti l’anonimato. Un anonimato che garantisce spesso libertà di pensiero ma anche di azione.
Il Deep Web infatti è un’arma a doppio taglio, perché se da una parte dà la possibilità nei paesi tagliati fuori dalla rete, vittime di censura e di blocchi delle vie di comunicazione da parte di stati totalitari, di comunicare con l’esterno, dall’altra parte permette a migliaia di organizzazioni di coordinarsi nel più totale anonimato, in luoghi virtuali di cui solo loro conoscono l’esistenza, il che li rende irrintracciabili.
Ma alla fine come si entra nel Deep Web?
Entrare nel Deep Web è una pratica tanto semplice quanto sconsigliata ai neofiti dell’informatica e ai curiosoni dal click facile, dato che si tratta di un mondo estremamente variegato pieno di pericoli.
Per entrare nel Deep Web quindi ci serviranno poche cose: l’ultima versione di un browser adatto a navigare nel Web sommerso e i link, perché naturalmente non esiste un motore di ricerca lì sotto.
Di browser per navigare in questo mondo ce ne sono molti, il più utilizzato è sicuramente Tor, che grazie a una serie di tunnel VPN (Virtual Private Network, ndr) riesce a renderci anonimi e irrintracciabili grazie alla modifica del nostro indirizzo IP (un codice abbinato alla nostra connessione che fornisce informazioni sulla nostra posizione, sul dispositivo che stiamo usando e sulla nostra identità digitale, ndr).
Con questo anonimato fornito da Tor (che non è altro che una versione modificata di Mozilla, ndr) potremmo accedere finalmente ai siti contrassegnati dal dominio .onion (sì, proprio “cipolla”) del Deep Web.
NOTA BENE: Se vorrai intraprendere l’avventura di esporare il mondo sommerso del Deep Web lo farai sotto la tua responsabilità! La redazione di Novus ti da queste informazioni a scopo culturale e informativo!
Per scoprire le cos’altro si cela nelle profondità di internet rimani online su novus.blog per il prossimo episodio!
di Federico Meloni